Circolo universitario Genovese
Sezione Fotografia
10 dicembre 2018
Un percorso storico tra grandi fotografi e
generi fotografici
Martina Massarente
PhD Digital Humanities arte, spettacolo e tecnologie multimediali
PhotoFactory Art
Protagonisti della critica d’arte e della fotografia
Baumont Newhall, Storia della fotografia, Einaudi, 1984
Van Deren Coke: The painter and the photograph – From Delacroix to Warhol, 1972
Ando Gilardi e la Storia sociale della fotografia
Arturo Carlo Quintavalle e gli studi sulla fotografia in
MESSA A FUOCO
Le moderne storie della fotografia
Claudio Marra: Fotografia e pittura nel Novecento
Una storia «senza combattimento»
Antonella Russo: Storia culturale della fotografia italiana
dal Neorealismo al Postmoderno
Le riviste specializzate
Popular Photography e Popular Photography Italiana
Photo Italiana e Progresso Fotografico
Fotocultura e Fotologia
Fotostorica
Gli archivi della fotografia
AFT
La fotografia e i rapporti con l’arte contemporanea: La Biennale di Venezia, 1972
Franco Vaccari: Esposizione in tempo reale
Franco Vaccari
Esposizione in tempo reale
Biennale di Venezia 1972
Daniela Palazzoli
Combattimento per un’immagine, Torino, 1973
Fotomedia, Milano, 1975
Le grandi esposizioni internazionali
un punto sulla storia della fotografia
Arte e fotografia in dialogo, 1977
Grandi esposizioni in Italia
Venezia ‘79 – La fotografia
Guardare la storia della fotografia in relazione alla storia dell’arte
Si può parlare solo di grandi autori e generi fotografici?
Erik Kessels, installazione di fotografie, 2011
Si può scrivere una storia degli errori fotografici?
E delle brutte fotografie?
Si può scrivere una storia degli errori?
Henri Lartigue: scheda autore
Jaques – Henri Lartigue (1894-1986)
Figlio e nipote di inventori Lartigue è sempre stato un ottimo fotografo. Nel 1905 scatta una delle prime fotografie
nella quale è ritratta la sua collezione di automobiline. Le fotografa dando un taglio diagonale alla scena, ama gli
oggetti e li immortala conservando le immagini all’interno di album dedicati.
Fotografare gli serve per ricordare.
Ma sicuramente Lartigue è ricordato per la fotografia dal titolo «l’automobile» del 1913 nella quale immortala
un’automobile in corsa che appare sfuocata. Questa fotografia secondo quanto racconta Clement Chéroux nel suo
libro «L’errore fotografico» era ritenuta tecnicamente sbagliata, ma nei primi anni del Novecento, è stata considerata
vera e propria icona della storia della fotografia.
Immagini come queste sono diventate importanti per il contesto nelle quali sono nate e si sono diffuse. In tal caso è
stata fondamentale la presenza delle avanguardie storiche, in particolare del Futurismo.
Le immagini vengono rilette affrontando il contesto nel quale sono state prodotte e secondo una prospettiva storica.
E’ stato proprio Lartigue stesso a sostenere che le fotografie non vadano mai buttate via: una fotografia inizialmente
scartata e non rispondente a consolidati canoni estetici, è diventata, nel suo caso, non solo un’icona della storia della
fotografia, ma anche lo scatto preferito del suo autore.
Cambia nel tempo la percezione dell’errore e cambia nel tempo la considerazione delle immagini che hanno portato i
fotografi a diventare grandi autori.
Si può scrivere una storia degli errori?
E delle brutte fotografie?
C. Chéroux, L’errore fotografico, Einaudi, Torino, 2009
Perché un errore può trasformare
una fotografia «sbagliata» in una grande icona
Il Futurismo
H. Lartigue fotografo di uno dei più famosi errori fotografici
Quante storie di grandi autori si possono scrivere?
Victor Stoichita, Breve storia dell’ombra.
Dalle origini della pittura alla Pop Art
Una storia della fotografia «in ombra»
Alfred Stieglitz, Man Ray e André Kertèsz
Una storia della fotografia «in ombra»
Alfred Stieglitz: scheda autore
Alfred Stieglitz (1864 – 1946)
La produzione di Alfred Stieglitz è legata perlopiù al lavoro svolto per la rivista «Camera Work» fondata dallo stesso
fotografo nel 1903.
Le sue prime fotografie sono di matrice naturalistico-sentimentale. Degli ultimi anni nel XIX secolo sono numerose
le immagini con scene di vita quotidiana.
Interessato e legato profondamente all’Europa, Stiglitz lavorerà in seguito all’interno del panorama fotografico e
artistico americano immortalando il profondo cambiamento sociale che l’America aveva vissuto nei primi anni del
Novecento.
La fotografia per Stieglitz diventa strumento privilegiato per dare vita a vere e proprie opere fotografiche; il fotografo
è infatti molto vicino al mondo dell’arte tanto da fondare, oltre alla rinomata rivista, anche una galleria, la 291 nella
quale ospita artisti delle avanguardie europee a partire dal 1906.
Se inizialmente Stiglietz è stato membro di eccellenza tra coloro che hanno fondato e diffuso il Pittorialismo, in
seguito, l’influenza delle avanguardie lo indurrà a modificare radicalmente i suoi interessi fotografici e artistici. Basti
pensare all’influenza esercitata su di lui da Paul Strand, giovane fotografo statunitense che ha fatto propria la
lezione del Cubismo e dal quale Stieglitz apprenderà lo stile della «Straight photography», o «fotografia diretta».
Come scrive Angela Madesani, a partire dal loro incontro, il lavoro di Strand sarà fondamentale per le ricerche di
Stieglitz. In particolare, tale influenza è evidente nel lavoro sugli Equivalenti (1923-1931): «stralci di cielo che
rispondono ad una necessità interiore, un’esperienza spirituale, equivalenti della mia visione di vita».
Una storia della fotografia «in ombra»
Man Ray: scheda autore
Man Ray (Emanuel Radnitsky, 1890 – 1976)
Si avvicina alla fotografia tramite la galleria 291 di Alfred Stieglitz a New York.
Inizia ad utilizzare la macchina fotografia come strumento per riprodurre le sue opere scultoree collaborando, al
contempo, con riviste come «Dada New York» con Marcel Duchamp.
La produzione fotografica di maggior rilievo inizia negli anni Venti a Parigi, dove immortala, in splendidi ritratti, il
mondo degli artisti e degli intellettuali che orbitavano nella grande capitale francese.
In questi anni lavora anche nel campo della moda per il sarto Paul Poiret, già molto sensibile al mondo degli artisti.
Man Ray è però ricordato per una particolare invenzione fotografica: il Rayogramma, un’immagine realizzata tramite
la posa di un oggetto su carta fotografica preparata in modo che ne possa rimanere impressa la traccia. Come scrive
Madesani «il principio è quello portante della fotografia come indice, registrazione, traccia, che trova le sue radici nel
lavoro di Fox Talbot».
Nel 1930 circa Man Ray fa un’altra scoperta: la solarizzazione. Si tratta dell’inserimento della luce nella fase di
sviluppo della fotografia. Le immagini acquistano così un’estetica straniante.
La sua produzione fotografica influenza molto il cinema: evidente è l’utilizzo dei rayogrammi nel film Retour a la
raison del 1923.
Una storia della fotografia «in ombra»
André Kèrtesz: scheda autore
André Kertész (1894-1985)
Andor (André) Kertész nasce a Budapest e una volta terminati gli studi entra a lavorare presso la Borsa dei
cereali, un posto che abbandona appena scoperta la passione per la fotografia.
Kertész è un fotografo puro, che si interessa alle persone e alle cose. I fatti che immortala nei suoi scatti non
sono mai costruiti, non hanno intenti drammaturgici o esagerazioni empatiche, ma sono fatti da cose semplici,
della vita di tutti i giorni.
Partito per la guerra nel 1914 con la sua macchina fotografica, le immagini realizzate sono semplici, senza la
pretesa di essere considerate un fotodocumentario della tragedia del conflitto mondiale, al contrario, sembrano
far parte di un diario personale.
Al fotografo interessa la vita quotidiana della sua famiglia: protagonisti degli scatti sono infatti la madre e i suoi
fratelli, ma anche la sua compagna di vita Elisabeth.
Dall’Ungheria, nel 1925 si trasferisce a Parigi città cosmopolita per eccellenza e ricca di fervore artistico.
I primi scatti rappresentano soggetti naturali, turistici e poetici. La grande protagonista è la città di Parigi in ogni
suo aspetto, è «un cronista del banale» (Madesani, 2005).
Nel 1936 lascia la grande città francese per dirigersi a New York dove prende servizio per l’agenzia Keystone. I
ventisei anni vissuti nella grande città americana sono stati ricchi di lavoro ma sono anche gli anni nei quali
cambia stile realizzando immagini dalla spiazzante distanza e obiettività verso i soggetti ritratti.
Dagli anni sessanta fino alla morte è stato coinvolto in diversi progetti di collaborazione per grandi mostre.
Victor Stoichita, Breve storia dell’ombra
Lee Frielander
Victor Stoichita, Breve storia dell’ombra
Lee Frielander: scheda autore
Lee Frielander (1934)
Si forma in fotografia all’Art Center di Los Angeles e tra i suoi riferimenti vi sono Eugène Atget, Walker Evans e
Robert Frank. Negli anni Cinquanta per vivere ritraeva musicisti per le cover dei dischi, si tratta di fotografie a colori
di grande formato caratterizzate da evidente impronta psicologica nelle quali i protagonisti sono colti nella loro
spontaneità espressiva e gestuale e collocati in spazi che richiamano fortemente la cultura americana.
Frielander insieme a Diane Arbus rappresentano i nodi centrali della nuova fotografia americana, lavorando sulla
fotografia di strada, sull’istantanea e la sua essenzialità.
Queste fotografie sono realizzate completamente prive di filtri morali e si interessano alle realtà emarginate.
Dagli anni sessanta Frielander cambia argomento concentrandosi sui monumenti americani; si tratta di un lavoro
che dura circa 10 anni e si conclude con la pubblicazione dal titolo «American Monument».
Nei decenni successivi Frielander si dediherà ad altre pubblicazioni tra le quali Self Portrait del 1970, Frielander
Nudes del 1977, Letters from the people degli anni Ottanta sviluppando un nuovo stile fotografico che punta a
guardare attraverso le cose. La fotografia diventa per lui uno strumento con il quale analizzare il mondo da un punto
di vista nuovo, che coinvolge la forza descrittiva dei dettagli.
Victor Stoichita, Breve storia dell’ombra
Lee Freelander e Vivian Maier
Victor Stoichita, Breve storia dell’ombra
Ugo Mulas
Victor Stoichita, Breve storia dell’ombra
Ugo Mulas: scheda autore
Ugo Mulas (1928 – 1973)
«INDAGA LA NATURA E I PROCEDIMENTI DEL LINGUAGGIO FOTOGRAFICO NELLO SCARTO FRA LA
REALTA’ E LE OPPORTUNITA’ CREATIVE DELLA SUA RAPPRESENTAZIONE FOTOGRAFICA»
(D. Palazzoli, 1999, p. 68)
Inizialmente iscrittosi all’Università per studiare giurisprudenza, Mulas abbandona ben presto il corso di studi per
iscriversi all’Accademia di Brera.
Con Mario Dondero avvia una società e nei primi anni di lavoro si dedica alla fotografia di moda, alla fotografia
pubblicitaria e di reportage. Lavora infatti per alcune delle più importanti riviste tra le quali «Vogue» e «Domus».
Nonostante tali importanti collaborazioni, la passione di Mulas è sempre stata l’arte contemporanea dalle cui
influenze resta profondamente segnato.
Dagli anni sessanta infatti inizia a dedicarsi totalmente all’arte fotografando le edizioni della Biennale di Venezia
ed entrando in contatto con i grandi nomi dell’arte contemporanea. Sono gli anni nei quali compie importanti
viaggi in America. Una volta rientrato in Italia inizia la sua collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano.
Nel 1970 a seguito della malattia che lo costringe a casa, avvia una personale riflessione concettuale sulla
fotografia e sul suo significato dando vita al memorabile progetto dal titolo «Verifiche».
Le «Verifiche» sono un’analisi concettuale delle caratteristiche della fotografia e delle sue componenti.
Storia della fotografia: dove e come nascono i grandi autori
E. Atget principale riferimento per il Surrealismo
Grandi autori e avanguardie artistiche
Hans Bellmer, La poupée, 1935 – René Clair, Entr’Acte, 1924
Che cosa è un documento?
Bill Brandt , Ear in Landscape, 1957; Belgravia London, 1951
Che cosa è un documento?
Alexander Rodchenko, Fire escape, 1927
Che cosa è un documento?
Berenice Abbott, Pike and Henry Streets, New York, 1935
Berenice Abbott, Gunsmith and Police Station, 1937
Irving Penn, Truman Capote, 1948
Richard Avedon, Audrey Hepburn, 1956
Irving Penn e Richard Avedon: schede autori
Irving Penn (1917)
Nato a Plainfield nel New Jersey si forma alla School of Industrial Art in Philadelphia . Conosce Alexey Brodovitch
e per sua intercessione inizia a lavorare per l’importante rivista di moda «Harper’s Bazaar». Nel 1943 fa
conoscenza con Alexander Liberman che lo assume come assistente presso la rivista «Vogue»; è in questa
occasione che si appassiona alla fotografia.
Penn è un fotografo che si muove in diversi ambiti spostandosi agilmente tra il ritratto, lo still life e la più generale
fotografia di moda. Il fotografo è molto conosciuto per i suoi ritratti di personaggi famosi caratterizzati da un
particolare studio dello spazio, spesso ristretto, tanto da far assumere al corpo dei modelli, posizioni strane e
quasi innaturali. Durante gli anni della seconda guerra mondiale le sue fotografie (soprattutto di soggetto
femminile) risentono del cambiamento e della trasformazione del costume diventando il simbolo della donna
emancipata. Negli anni Cinquanta si è dedicato alla fotografia di nudo e agli still life che comprendono oggetti,
cibi, pubblicità e altri oggetti trovati per strada.
Richard Avedon (1923-2004)
Fin da giovanissimo attivo nel settore commerciale della moda femminile per la ditta del padre, Avedon si
appassiona ben preso alla fotografia scegliendo come modella la sorella Louise. Studia arte con lo scultore Ossip
Zadkine. Nel 1949 inizia a svolgere incarichi pubblicitari importanti per la rivista «Theatre Arts» e in seguito per
«Life». Nei lavori personali si riconosce la sua vicinanza allo stile di Diane Arbus; dal formato 6x6 inizia a
fotografare negli anni Sessanta con una Rolleiflex di grande formato, 8x10 pollici. Il fotografo progetta ogni sua
immagine finalizzando la tecnica al suo scopo espressivo. Ritrae gli attori in strada ma spesso ricostruisce da sé
veri e propri set. Si è formato con lui Chuck Close, suo allievo a Yale negli anni Sessanta, un noto artista che ha
dato vita a ritratti di grande formato nei quali sono messi perfettamente a fuoco i particolari.
Henri Cartier – Bresson,
Henri Cartier-Bresson (1908-2004)
Per Bresson, la Leica era il naturale prolungamento
del suo occhio. Nasce in una famiglia benestante e
inizia la sua carriera artistica come pittore a Parigi
per poi spostarsi all’Università di Cambridge. Dal
1931 abbandona la pittura per dedicarsi alla
fotografia. Inizia quindi a viaggiare per potersi
dedicare completamente alla fotografia. Ogni cosa
diventa per lui soggetto fotografico, ne coglie con
grande rispetto le emozioni per rivivere in ogni
luogo la realtà, la concretezza e la verità.
(Madesani, 2005, p. 159). La caratteristica
principale di Bresson è che affronta la fotografia
come la sua vita: sempre ironico e interessato.
Dopo aver trascorso tempi bui a seguito della
seconda guerra mondiale, nel 1945 riprende la sua
attività di fotografo freelance e nel 1947 è tra i
fondatori della famosa agenzia fotografica
Magnum. Dagli anni Cinquanta lavora per le più
grandi testate giornalistiche internazionali. Nel 1966
abbandona la Magnum in seguito alla morte di
alcuni compagni riducendo man mano la sua
attività fotografica. Negli ultimi anni torna a
dedicarsi alla pittura e al disegno.
Con i suoi scatti, Bresson ha saputo raccontare un
secolo della storia del mondo.
Berenice Abbott, Newsstand , 32° and Third, 1936
Walker Evans, Penny Pictures Display, 1936
Che cosa è un documento?
Walker Evans: scheda autore
Walker Evans (1903-1975)
Inizia la sua formazione come letterato alla Sorbona a Parigi, ma già durante il primo anno dell’università si rende
conto che la strada della letteratura non fa per lui e si trasferisce nuovamente negli Stati Uniti dove conosce la
fotografia di Paul Strand. All’inizio degli anni Trenta si dedica alle persone e alla vita quotidiana pur non
allontanandosi dalla fotografia di architettura; negli stessi anni infatti realizza l’importante lavoro sugli edifici
vittoriani.
A metà degli anni Trenta incontra Roy Stryker e viene chiamato nella squadra dei fotografi della Farm Security
Administration. Sono anni nei quali realizza alcune delle fotografie di maggior intensità e con le quali racconta le
difficoltà degli Stati Uniti in seguito alla Grande Depressione.
Negli anni Quaranta lascia la FSA e continua la sua attività fotografica per immortalare le contraddizioni della
società americana.
Inizia così il lavoro fotografico Labor Anonymus: ritratti di persone anonime riprese nei contesti della quotidianità
con una macchina di piccolo formato. In questo contesto la sua fotografia diventa documentaria, attento a tutto ciò
che «non è fotografico», tra i quali marciapiedi, detriti e motivi iconografici.
Importante da ricordare nella sua produzione è il lavoro del 1938 dal titolo American Photographs.
Solo negli ultimi anni della sua vita Evans si appassiona alla fotografia a colori; dal suo lavoro, Luigi Ghirri
riprenderà lo stile «del banale».
Gordon Parks, Washington D.C.
Government charwoman, 1942
Walker Evans, Floyd and Lucille Burroughs, 1936
Walker Evans, Auto parts shop, 1936
Walker Evans
Alcuni scatti di Dorothea Lange
ai tempi della Farm Security Administration
anni Trenta
Dorothea Lange: scheda autore
Dorothea Lange (1895-1965)
Studia fotografie e inizia a lavorare e New York aprendo uno studio come ritrattista.
Fa ritorno alla Columbia University per studiare con Clarence H. White. I primi anni di ricerca fotografica sono
all’insegna del pittorialismo ma la fotografa è maggiormente conosciuta per la sua collaborazione con la FSA.
Dapprima con il marito Paul Taylor lavora per la California State Emergency Relief Administration e in seguito,
lavora con Roy Stryker.
Per comprendere la sua fotografia bisogna fare riferimento alla scuola pittorica tedesca della Nuova oggettività.
Le sue immagini sono sintetiche, persone e ambiente sono fuse insieme con grande armonia compositiva. Inoltre
le sue fotografie sono sempre accompagnate da didascalie esplicative, quasi fossero un necessario
completamento all’opera visiva.
Fotografa ritrattista, Lange è molto attenta alla dimensione umana e soprattutto alla posizione sociale ed
economica delle donne.
Le sue immagini hanno raccontato persone e fatti senza pregiudizi, senza filtri e convenzioni tecnico-visive.
Edward Steichen, The Family of Man, 1959
weegee weegee
They first murder, 1945
Wegee (Arthur Felling 1899 – 1968)
All’età di 10 anni lascia l’Austria insieme alla sua
famiglia per trasferirsi negli Stati Uniti.
Arrivato a New York si confronta con la
situazione americana degli immigrati e mentre
prosegue gli studi, lavora come strillone e
venditore fino a quando inizia a fotografare. La
passione per la fotografia lo accompagnerà per
tutta la vita. Nei suoi vent’anni di attività Wegee
fotografa la vita notturna di New York, i
bassifondi, i drammi, i crimini e gli abbandonati;
avvalendosi di un apparecchio di fortuna che
intercettava la radio della polizia è sempre stato il
primo a raggiungere i luoghi di fatali incidenti ed
efferati omicidi. Da questa sua modalità di
intervento è nato il soprannome Weegee: «tavola
per le sedute spiritiche». Tutte le sue fotografie
portano sul retro un particolare timbro «THE
FAMOUS WEEGEE», un personaggio fuori dagli
schemi e da ogni regola, ma anche misterioso e
a volte turbolento.
Ma ciò che rende Weegee un nome da ricordare
è non soltanto il fatto di aver registrato situazioni
di dolore e di malaffare, ma anche di aver dato
voce alla miseria attraverso scatti commoventi,
pur nella loro crudezza, tragicità e violenza.
weegee weegee : scheda autore
Weegee (Arthur Felling 1899 – 1968)
All’età di 10 anni lascia l’Austria insieme alla sua famiglia per trasferirsi negli Stati Uniti.
Arrivato a New York si confronta con la situazione americana degli immigrati e mentre prosegue gli studi, lavora
come strillone e venditore fino a quando inizia a fotografare. La passione per la fotografia lo accompagnerà per tutta
la vita.
Nei suoi vent’anni di attività Weegee fotografa la vita notturna di New York, i bassifondi, i drammi, i crimini e gli
abbandonati; avvalendosi di un apparecchio di fortuna che intercettava la radio della polizia è sempre stato il primo
a raggiungere i luoghi di fatali incidenti ed efferati omicidi.
Da questa sua modalità di intervento è nato il soprannome Weegee: «tavola per le sedute spiritiche».
Tutte le sue fotografie portano sul retro un particolare timbro «THE FAMOUS WEEGEE», un personaggio fuori dagli
schemi e da ogni regola, ma anche misterioso e a volte turbolento.
Ma ciò che rende Weegee un nome da ricordare è non soltanto il fatto di aver registrato situazioni di dolore e di
malaffare, ma anche di aver dato voce alla miseria attraverso scatti commoventi, pur nella loro crudezza, tragicità e
violenza.
Elliott Erwitt
USA, NY City, 1950 circa
Elliot Erwitt (Elio Romano Erwitz, 1928)
Erwitt si avvicina alla fotografia grazie a Cartier –
Bresson e capisce subito che per fotografare
bisogna avere un punto di vista personale sulle
cose. Vive per un certo periodo a New York e fa in
seguito ritorno in Europa dove negli anni
Cinquanta conosce Robert Capa che lo inserisce
all’interno della nota agenzia Magnum.
Il suo universo fotografico è pervaso dall’ironia,
sua vera cifra distintiva, grazie alla quale crea
situazioni stravaganti, divertenti ma al contempo
lucide e vere.
Ad esempio, nel corso degli anni, fotograferà i cani
mettendone in risalto gli aspetti più buffi, ma
anche sottolineando le stranezze del rapporto tra
l’animale e il suo padrone.
Le sue fotografie costituiscono, nella totalità del
suo operato, una grande «COMMEDIA UMANA».
Ma con lo stesso stile si occupa anche di
fotoreportage, il suo è un rapporto libero con il
mezzo il cui utilizzo deriva dalla contemplazione e
dall’ozio.
Che cosa è un documento?
Robert Frank
Robert Frank : scheda autore
Robert Frank (1924)
Inizia ad occuparsi di fotografia fin da giovanissimo traferendosi all’età di 23 anni a New York. Nella grande capitale
lavora come fotografo di moda per alcune tra le più importanti riviste di settore quali «Harper’s Bazaar», «Fortune», e
«Life».
Come per Richard Avedon è stato molto importante il suo rapporto con l’art director Alexey Brodovitch.
Nonostante abbia lavorato molto per il settore della moda, i suoi interessi sono diretti al sociale e alle trasformazioni
del mondo. I luoghi che visita sono animati spesso da situazioni dolorose e complesse ma realizzate in modo
semplice e senza eccessivi tecnicismi. Gli scatti sono costruiti secondo vedute prospettiche accentuate che spesso
restituiscono una sensazione si speranza.
Significativo è stato il lavoro fotografico sulla Parigi degli anni Cinquanta e quello dedicato a Londra per il quale
realizza fotografie dalla particolare atmosfera brumosa.
Tra i suoi riferimenti più evidenti si trova il fotografo Walker Evans, ma l’ispirazione arriva anche dal contesto
letterario, in particolare della Beat Generation. Frank ne ritrae infatti gli artisti con uno stile che influenzerà
particolarmente le visione personale di Diane Arbus.
Frank è inoltre ricordato per il viaggio negli Sati Uniti dove entra nella vita delle persone, nelle loro case, nei loro
luoghi di lavoro per osservare tutte le facce dell’America: il nazionalismo, la multirazzialità, la trasgressione e la
solitudine. (Madesani, 2005, p. 183).
Nel 1958 realizza il volume fotografico Les Americains a cura di Robert Delpire e pubblicato in America con la
prefazione di Jack Kerouac.
Mirrors and Windows. American photography since 1960
a cura di John Szarkowsky
Definizione di nuove correnti di ricerca della fotografia
Mirrors and Windows
Definizione di nuove correnti di ricerca della fotografia
Conoscere le grandi mostre per parlare di storia della fotografia
Importante esposizione organizzata nel 1978 da John Szarkowsky.
L’esposizione ha di fatto posto a confronto due tendenze della ricerca fotografica del periodo:
1) SPECCHIO DELL’ANIMA
2) FINESTRE SUL MONDO
Grazie all’individuazione di tali tendenze, la mostra ha dato origine ad un termine che si riferisce al
«realismo espressivo», un concetto composito che è tutt’oggi valido per molta fotografia
contemporanea.
All’interno di questo concetto Szarkowsky colloca la fotografia di Henri Cartier – Bresson, Dorothea
Lange e Walker Evans.
Secondo il curatore, ad esempio, emergono particolari differenze stilistiche e comunicative tra due noti
autori che avevano lavorato per la Farm Security Administration: nel libro «American Exodus» di
Dorothea Lange, le fotografie sono affiancate dalle didascalie con frasi di coloro che sono stati
rappresentati; a livello comunicativo questo schema appare difficile e un po’ scollegato, mentre, al
contrario, Walker Evans scatta le sue fotografie con l’occhio dell’artista: le persone fotografate sono
anonime e senza nome così come le loro abitazioni e i luoghi. Il suo diventa in questo modo uno stile
documentario poetico e non didascalico.
Diane Arbus e le influenze delle neoavanguardie artistiche
Diane Arbus, Child with a toy hand granade in Central Park, 1962;
Young man with his girlfriend, 1971
Diane Arbus: scheda autore
Diane Arbus (1923 – 1971)
Diane Arbus è una delle protagoniste di maggior importanza della storia della fotografia attorno al cui lavoro ruotano
numerose situazioni che coinvolgono anche il mondo dell’arte contemporanea ed è ancora oggi un importante
riferimento per la fotografia moderna.
Allieva di Lisette Model, dagli anni Cinquanta osserva le differenze tra gli esseri umani senza giudicarle, cogliendo
angosce ed eccentricità dei singoli individui.
Arbus era figlia di una famiglia della borghesia americana, ha seguito la sua passione per gli studi artistici
appassionandosi all’Espressionismo tedesco e alla fotografia tanto da aprire uno studio nel centro della città di New
York. Studia con Lisette Moderl e Brodovitch.
Partecipa alla grande mostra The family of Man, organizzata d Edward Steichen, MoMA, 1955.
I suoi scatti indagano la mostruosità del quotidiano rendendo usuale e quasi banale la diversità.
I soggetti della sua indagine sono omossessuali, ermafroditi e handicappati, soggetti ai «margini» ma con assolutà
naturalezza e normalità.
FOTOGRAFIA E ANNI SESSANTA
le commistioni con la POP ART
Andy Warhol e Richard Hamilton
La svolta degli anni Sessanta
L’arte concettuale
Joseph Kosuth «Una e Tre sedie» 1965
Le Neo-avanguardie
Gina Pane , Robert Smithson e Richard Long
La svolta degli anni Sessanta: le Neo-avanguardie
Urs Lüthi e Giulio Paolini
La svolta degli anni Sessanta: le Neo-avanguardie
Vito Acconci, Following Piece, 1969
La svolta degli anni Sessanta
l’influenza delle Neo-avanguardie
Diane Arbus Robert Mapplethorpe
Travestitismo: il lavoro sull’identità
Yasumasa Morimura e Marcel Duchamp
Travestitismo: il lavoro sull’identità
Yasumasa Morimura scheda autore
«AUTORITRATTO COME CONSUMISMO DI IDENTITA’ VARIEGATE, ESOTICHE E
MEDIATICHE» (D. Palazzoli, 1999, p. 98)
Yasumasa Morimura (1951) emerge come artista nella metà degli anni Ottanta rileggendo
fotograficamente i modelli della cultura occidentale. Nel suo lavoro fotografico è particolarmente
evidente l’aspetto kitsch che emerge attraverso la pratica dell’appropriazione di icone della cultura
occidentale.
In una prima serie lavora sul tema della storia dell’arte e sulla riconoscibilità dei grandi capolavori
come ad esempio nel lavoro dal titolo «Daughters of History».
Successivamente si concentra sui divi della musica e del cinema interpretando Madonna e
Michael Jackson all’interno della serie fotografica «Psychoborg».
Più di recente ha invece realizzato serie fotografiche sulle grandi attrici dal titolo «The Descent of
Actresses»
Come Cindy Sherman, anche Morymura è autentico protagonista dei suoi scatti per i quali studia
una serie di travestimenti ad hoc.
Il risultato è familiare e straniante al contempo, se ne coglie la componente glamour e kitsch che
definiscono un’attitudine post-moderna.
Oltre ai riferimenti alla tradizione culturale occidentale, sono evidenti elementi del teatro kabuki, la
riflessione sulla dialettica tra l’opera d’arte e la sua riproduzione. Le sue fotografie sono
volutamente ambigue e aprono alla riflessione.
Travestitismo: il lavoro sull’identità
Cindy Sherman, Film Still 58, 1980
Cindy Sherman (1954)
«STEREOTIPI FEMMINILI, CONFRONTO COI MEDIA, POST
UMANO» (D. Palazzoli, 1999, 84).
Arrivata a New York ha studiato a Buffalo ed è diventata
celebre all’inizio degli anni Ottanta esponendo le sue fotografie
«Untitled Film Stills» presso la galleria Metro Pictures.
Il suo lavoro si concentra sugli stereotipi femminili e
sull’identità; rappresenta sé stessa citando fotografie
promozionali pubblicate sui rotocalchi scandalistici o per i B-
movie. In questi scatti interpreta diversi personaggi, anonimi e
del tutto stereotipati: la femme fatale, la casalinga, la donna in
carriera, la turista. Per la varietà dei temi trattati, queste
fotografie sono state molto criticate nell’ambiente artistico.
Dopo un lungo periodo di lavoro in bianco e nero, alla fine degli
anni Ottanta l’artista inizia a dedicarsi alla fotografia a colori ;
realizza così una nuova serie fotografica dal titolo «History
Portraits» (1988-1990) nella quale interpreta importanti
personaggi femminili del passato.
Del 1992 è invece il lavoro «Sex Pictures»; del 1994 sono le
«Horror Pictures» mentre dei tempi più recenti sono le «Mask
Pictures» nelle quali rappresenta personaggi grotteschi e dai
volti spaventosi.
Come «leggere» Francesca Woodman
Possiamo inserirla in un «genere fotografico»?
Francesca Woodman, Untitled, 1979
Francesca Woodman (1958 – 1981)
Autodidatta di formazione, le sue fotografie tracciano uno
spazio privato, ma i temi che riguardano la sua ricerca
artistica «sono tanto ampi e vari quanto quelli di qualsiasi
fotografo». I continui rimandi alla storia dell’arte
accomunano questa autrice agli altri analizzati sino ad
ora. Come scrive Isabella Pedicini, le sue opere sono
come «un’ambigua tela» o meglio «uno specchio» nel
quale ognuno è portato a riversare liberamente i suoi
pensieri e le sue teorie.
Evidenti sono gli interessi per il mondo dell’arte classica
e della letteratura che Woodman sviluppa facendo
riferimento a influenze citate anche nel caso di altri
grandi autori: il surrealismo con tendenze polimorfe,
malinconiche e a tratti metafisiche.
Attraverso la fotografia, Francesca Woodman affronta il
suo essere «donna nel mondo», una ricerca che si
spinge ben oltre ciò che comunemente può essere
ricondotto al «femminismo» concepito nelle sue
accezioni prettamente politiche e sociali.
Emergono due tratti distintivi dell’autrice: IL TEMPO e LO
SPAZIO. Nei suoi scatti il corpo è sempre collocato
all’interno di un ambiente chiuso, uno spazio delimitato
dal bordo del formato 6x6, suo prediletto.
Muore suicida a 23 anni.
Narrare con la fotografia: il caso di Duane Michals
Madame Schrodingers Cat, 1998
Duane Michals (1932)
Si forma all’Università di Denver dove decide di dedicarsi alla
fotografia.
Considerato precursore della Narrative Art, il suo nome è
stato scelto dalla madre per via del ragazzo di una famiglia
presso la quale lavorava. Il ragazzo però si suicida in giovane
età e il fatto condiziona inevitabilmente la vita di Michals.
E’ da questo momento che Michals decide di lavorare sul
tema della morte e della scomparsa, argomenti che sentirà
particolarmente vicini insieme alla sua ossessione per il
«doppio». Spesso infatti i suoi scatti sono caratterizzati da
volti sfuocati e dalla presenza di specchi o superfici riflettenti e
si articolano in complesse serie con sequenze di fotogrammi
corredate da didascalie.
La sua indagine è pervasa da una componente concettuale
particolarmente forte: il centro della riflessione rivela la ricerca
su sé stesso e sul senso più ampio dell’esistenza in
particolare relazione con la poesia.
Influenze esercitate dall’arte sulle pratiche fotografiche contemporanee
René Magritte, La reproduction interdite , 1937; Les valeurs personelles, 1952
Gordon Matta – Clark
Nuove definizioni per la fotografia
«Anarchitetture» (anni settanta)
Simulacro
costruzione con effetto di realtà
James Casebere, Works 1975 - 2010
Post-concettualismo italiano
«comportamentismo ambientale» David Bate
Gabriele Basilico, Bord de Mer, 1984-85
Gabriele Basilico (1944 - 2013)
Tra il 1963 e il 1973 frequenta la Facoltà di Architettura
(Politecnico di Milano). Dopo il Sessantotto il suo
interesse per l’architettura viene progressivamente
sostituito da quello per il sociale.
Frequentando la galleria milanese «Il Diaframma» di
Lanfranco Colombo ha avuto modo di ampliare il suo
orizzonte di conoscenza della fotografia artistica e
culturale. Da quel momento la fotografia è diventata la
sua professione; conosciuto per le sue fotografie urbane
e di città, la fotografia è per Basilico un’ «esperienza
artistica, anche e soprattutto nella sua funzione e
missione documentaria» e «ha a che fare inevitabilmente
con la bellezza, con un’esigenza visiva di interpretazione
formale, di una traduzione estetica del mondo»
(G.Basilico, Abitare la metropoli, Contrasto, 2010).
Ha partecipato nel 1984 all’esperienza di «Viaggio in
Italia» un progetto studiato da Arturo Carlo Quintavalle e
Luigi Ghirri, un passo fondamentale per l’evoluzione della
fotografia di paesaggio in Italia. Dopo questo progetto si
è infatti delineato un vero e proprio «movimento di
tendenza del paesaggio» (Madesani, 2008, p. 210)
Ha partecipato al progetto della MISSION
PHOTOGRAPHIQUE de la DATAR, primo lavoro di
committenza pubblica sul paesaggio, il più lungo di tutta
la storia della fotografia (1983-88). Mancato di recente,
era sposato con Giovanna Calvenzi (photoeditor)
Post-concettualismo italiano
«comportamentismo ambientale»
Luigi Ghirri, Ruvo di Puglia, 1983
Post-concettualismo italiano
«comportamentismo ambientale»
Luigi Ghirri: scheda autore
Luigi Ghirri (1943-1992)
Luigi Ghirri ha studiato da geometra ma è diventato una delle voci di maggior successo della storia della fotografia. è
stato un importante fotografo italiano, ma anche un organizzatore di eventi culturali e acuto studioso e teorico
dell’immagine. Fotografie, riflessioni e scritti costituiscono il suo lavoro di ricerca.
L’arte concettuale è un terreno fertile dal quale Ghirri estrapola importanti riferimenti per la sua ricerca personale; dal
1970 infatti, si dedica alla realizzazione di fotografie per gli artisti concettuali, sviluppando particolare attenzione per
la parte progettuale dell’opera d’arte più che per l’opera in sé.
Tra il 1971 e il 1973 Ghirri lavora al progetto «Paesaggi di cartone» dove i soggetti vengono fotografati dai manifesti,
un’analisi sulla comunicazione di massa e sul senso che le immagini assumono all’interno della società.
Il centro nevralgico dei suoi scatti è quindi la civiltà urbana dove tutto è copia di altro, un mero duplicato che
confonde realtà e finzione.
Dal 1973 si dedica alla grafica e dal 1976 approfondisce la ricerca sul paesaggio.
Nel 1979 crea un gruppo di fotografi per condurre una ricerca specifica sul paesaggio come preludio all’importante
lavoro «Viaggio in Italia» del 1984, una mostra pensata per la Pinacoteca di Bari nella quale il soggetto è il
paesaggio visto dai fotografi italiani.
Wim Wenders paragona le sue fotografie a quelle di Walker Evans con reminiscenze provenienti dal panorama
storico-artistico dei paesaggi pittorici di Bruegel e di Hopper, «un sentimento di appartenenza» e di «stare nel
mondo» dove si confonde il confine tra naturale e artificiale.
Mimmo Jodice
Eden, Opera 19, 1995
Eden, 1995
Lavoro fotografico con testo di Germano Celant
Museo di Capodimonte, Napoli
Esposizione sulla natura morta
La fotografia riabilita un importante tema della pittura
del passato: la natura morta.
Il fotografo in questi scatti trasforma l’atmosfera di
tranquillità e piacere in metafora della violenza e
dell’aggressività del mondo moderno.
Post-concettualismo italiano
«comportamentismo ambientale» D. Bate
Mimmo Jodice: scheda autore
Mimmo Jodice (1934)
Primo docente di fotografia in Italia dal 1970 all’Accademia di Napoli.
Mimmo Jodice è un autore che sfugge alle convenzionali ripartizioni linguistiche e classificazioni in generi
fotografici. Il suo lavoro di ricerca è trasversale; influenzato dalle arti visive degli anni Settanta, approfondisce in
seguito tematiche di impronta sociale.
La svolta della sua ricerca fotografica è nel 1980, quando realizza il progetto «Vedute di Napoli» nel quale elimina
quasi del tutto la componente temporale (Isabella Pedicini, La camera incantata, Contrasto)
Sono evidenti nel suo stile e nel suo linguaggio fotografico i riferimenti alla pittura metafisica e surrealista e in
generale, alla storia dell’arte, non per nulla Isabella Pedicini intitola il suo libro dedicato al noto maestro «La
camera incantata» con evidente richiamo al dipinto di Carlo Carrà, del 1917, autore particolarmente caro a
Jodice. Il fotografo sviluppa inoltre un ampio interesse per il paesaggio urbano e per i lavori edili che hanno
coinvolto le grandi città del mondo.
Uno dei temi più cari al fotografo napoletano è senza dubbio quello del mondo classico, indagato in relazione al
mare nel quale ricerca risonanze di forme e contrasti che legano l’acqua alle forme del passato.
Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta
Bernd e Hilla Becher
Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta
Bernd e Hilla Becher: scheda autori
«APPLICANO LA RICERCA CONCETTUALE ALL’ARCHITETTURA DELLE TIPOLOGIE
INDISTRIALI, INTESE COME FORME PLASTICHE, MA ANCHE COME SIMBOLI DELLA
TRASFORMAZIONE INDUSTRIALE DEL PAESAGGIO CONTEMPORANEO. SCELTA DEI
SOGGETTI, OGGETTIVITA’ DI RIPRESA, PRESENTAZIONE SERIALE DELLE VARIANTI
TIPOLOGICHE PARLANO DI ARCHIVIO E CATALOGO, MA ANCHE DI STILI CULTURALI» (D.
Palazzoli, 1999, p. 70).
Bernd e Hilla Becher sono stati fotografi molto influenti nel panorama della fotografia come arte
contemporanea e hanno giocato un ruolo importante nella definizione dell’estetica
«dell’impassibilità». Tra i loro allievi si annoverano: Andreas Gursky, Thomas Ruff, Thomas Struth,
Candida Höfer , Axel Hütte.
I coniugi sono conosciuti per aver realizzato un imponente lavoro fotografico che documenta, in
serie, (bianco e nero) architetture industriali, architetture popolari di epoca pre-nazista, torri
d’acqua, serbatori di benzina e pozzi di miniere.
La serie è iniziata nel 1957 ed è andata avanti nel tempo siano ai giorni nostri.
All’interno della serie ogni edificio viene fotografato secondo le medesime caratteristiche stilistiche
e metodologiche, con la stessa prospettiva, secondo appunti precisi. In questo modo, come
ricorda Cotton, si «è creata sistematicamente una tipologia».
Il lavoro è tutt’ora un imprescindibile riferimento per l’arte concettuale e fotografica.
Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta
Thomas Struth, Pergamon Museum IV, Berlin
Thomas Struth (1954)
Le sue ricerche fotografiche hanno come
caratteristica principale la consapevolezza della
costruzione delle immagini. Le sue fotografie
mostrano come l’osservatore sia messo nelle
condizione di guardare consapevolmente non solo
ai soggetti, che vengono descritti con grande
precisione «a tutto fuoco», ma anche alla tecnica
fotografica utilizzata.
Nei suoi scatti l’osservatore esterno non è
chiamato a partecipare emotivamente alla scena,
non gli chiede di identificarsi con coloro che sono
stati immortalati nello scatto, ma sono spinti a
stupirsi della costruzione fotografica
dell’immagine.
Il piacere di queste fotografie risiede
nell’osservarne le caratteristiche minuziose dei
dettagli in quanto parte finale del processo di
scatto.
Alcuni lavori fotografici hanno come scopo
l’indagine del comportamento culturale collettivo
(C. Cotton, 2010, p. 112-113).
Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta
«Estetica dell’impassibilità»
Estetica dell’impassibilità: «un genere di fotografia fredda, distaccata e perfettamente a fuoco»
(C. Cotton, 2010, p. 93.)
Definita anche «estetica germanica»: tale definizione si riferisce al fatto che la maggior parte dei
fotografi contemporanei accomunati da caratteristiche stilistiche simili si sono formati presso la
scuola di Bernd e Hilla Becher, presso la Kunstakademie di Düsseldorf in Germania.
Caratteristiche:
- scala monumentale
- nitidezza visiva
- Apparente distacco emotivo
- Precisione nella descrizione del soggetto
- Apparente neutralità
- Proporzioni epiche
Grande diffusione tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta soprattutto all’interno di
tematiche architettoniche e industriali.
Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta
Thomas Ruff
The unsetting visions, 2015
Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta
Thomas Ruff: scheda autore
Thomas Ruff (1958)
Nell’ambito della «fotografia dell’impassibilità» uno dei maggiori esponenti della scuola di Düsseldorf
è Thomas Ruff, che ha lavorato in particolare sul ritratto a partire dagli anni Ottanta.
Con le sue immagini sovra-dimensionate Ruff solleva un’interessante problematica: indaga e
sperimenta le modalità con le quali comprendiamo i soggetti in base alla conoscenza che abbiamo
di essi e di come ci aspettiamo di vederli rappresentati fotograficamente. (C. Cotton, 2010, p. 123)
Ruff è conosciuto per la produzione di ritratti a mezzo busto scattati ai suoi amici e conoscenti che
ricordano visivamente il formato fototessera. Queste immagini, una volta realizzate, vengono
stampate in grandi dimensioni e trasmettono all’osservatore un effetto di freddezza e di distanza.
L’artista fa scegliere ai soggetti lo sfondo sul quale desidera essere fotografato (per lo più si tratta di
sfondi monocromatici, ad esempio bianco e rosso) e gli chiede di rimanere inespressivo, totalmente
immobile di fronte alla fotocamera.
Si crea così un cortocircuito sensoriale tra ciò che ci aspettiamo di scoprire del carattere di una
persona dal suo aspetto e la sua inespressività, privata totalmente di inneschi visivi quali le
espressioni e i gesti.
Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta
Sandy Skoglund, A breeze at work, 1984
Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta
Joel Peter Witkin
Face of a woman, 2004
Joel Peter – Witkin (1939)
Nato a Brooklyn, a New York, la sua situazione familiare è
sempre stata molto difficile: a causa di contrasti religiosi i suoi
genitori si sono separati quando era molto giovane. La sua
infanzia è stata particolarmente difficile e infelice
probabilmente anche caratterizzata da episodi macabri che
hanno influenzato da vicino la sua visione delle cose e del
mondo.
Le sue fotografie infatti appaiono estremamente inquietanti; si
tratta di un mondo di cose messe in scena, estremamente
macabre e perverse sulle quali domina la sua volontà, il suo
sentirsi creatore capace di superare le differenze. L’intento,
conscio e/o inconscio, è quello di creare un mondo unito,
seppure illusorio e allucinato, nel quale tutte le differenze si
annullano. Uno dei temi principali delle sue fotografie sono
inoltre i freaks, esseri deformi nei quali Witkin vede il connubio
tra il bene e il male. Nel 1975 si trasferisce nel Nuovo Messico
dove vive e lavora tutt’oggi. La sua ricerca prosegue nella
realizzazione di soggetti umani fragili e distrutti dal dolore dai
quali traspare vera e autentica sofferenza. L’esistenza alla
quale da vita il fotografo è sempre impenetrabile e
indescrivibile, simboli allucinati si esistenze distrutte che
negano la realtà.
Jeff Wall
teorico dell’arte e della fotografia
post-modernismo critico: costruzione con effetto di realtà
Milk, 1984
Jeff Wall (1946)
Principale professionista della fotografia «messa in
scena» è Jeff Wall, artista canadese, storico e teorico
dell’arte che ha iniziato ad occuparsi di fotografia e
immagine verso la fine degli anni Ottanta.
Consapevole delle modalità con le quali si costruisce
una narrazione per immagini, le sue creazioni
rispondo alla tradizione del Tableau Vivant; si
individuano quindi nel suo modo di operare due macro
aree: da una parte, uno stile ricco ed elaborato dove
l’artificio fotografico viene palesato nella narrazione
fantastica delle sue storie; dall’altro le scene che
costruisce sono realizzate in modo tale da sembrare
casuali. Come ricorda Daniela Palazzoli, le sue
fotografie appaiono all’osservatore come delle
istantanee, ma sono in realtà l’esatto opposto.
L’artista collabora con un ampio staff di persone:
attori, scenografi, assistenti e tecnici necessari alla
realizzazione di un grande cast; in questo l’artista
assomiglia quindi ad un regista cinematografico che
crea la storia e ne dirige la realizzazione.
Jeff Wall
Morning Cleaning, 1999
Tendenze e generi fotografici del 2000
Gregory Crewdson
Brief Encounters
Gregory Crewdson (1962)
Nelle sue elaborate creazioni
fotografiche l’artista americano fa
emergere il forte legame che
intrattiene con il cinema, con le
fiabe, i miti moderni e il teatro, in
certi casi anche i ricordi personali
diventano fondamentali riferimenti.
Alla metà degli anni Novanta,
Crewdson inizia la sua produzione
di fotografie tableau vivant per le
quali allestisce modellini in scala
reale e organizza complessi set
assimilabili a quelli cinematografici.
Stranezze e inquietudini allucinate
permeano i suoi scatti,
esteticamente gradevoli e
minuziosamente preparati.
Tendenze e generi fotografici del 2000
la preparazione dei set
Le influenze provenienti dalla pittura
Edward Hopper
Nightwaks, 1942
Hannah Starkey
senza titolo, 2004
Tendenze e generi fotografici del 2000
Davide Monteleone
The April Thesis, 2017
Tendenze e generi fotografici del 2000
Silvia Camporesi, Ofelia, 2004
«neo-pittorialismo»
Tendenze e generi fotografici del 2000
Tom Hunter, The way Home, 2012
documento, cronaca e arte contemporanea
Tendenze e generi fotografici del 2000
Gregory Crewdson, Twilight, 2004
Tendenze e generi fotografici del 2000
Back Stage di «Twilight»
Gregory Crewdson
Nuove storie della fotografia
David Bate, La fotografia d’arte, Einaudi 2018
Rileggere la storia della fotografia a confronto con
le arti visive