sentenza 22 marzo 1985; Giud. V. Paone; imp. LimardiSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1985), pp. 341/342-349/350Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177837 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
Con atto, depositato nella cancelleria di questo tribunale per i
minorenni il 18 aprile 1985, il difensore R. proponeva
appello avverso la decisione del 12 aprile 1985, emessa dallo
stesso tribunale, in funzione di g.i., chiedendo che venisse, in
totale riforma del provvedimento impugnato, concessa la libertà
provvisoria al suo assistito, anche con imposizioni di obblighi
previsti dalla legge, o, in subordine, gli arresti domiciliari.
Osserva questo tribunale che, pur dovendosi ritenere legittimo il
gravame, proposto dal difensore del R. ai sensi degli art. 281
c.p.p., cosi come novellato dalla 1. 12 agosto 1982 n. 532, posto
che, pur nel silenzio della legge, la giurisprudenza, in sintonia
con l'orientamento espresso dal C.S.M., si è orientata nello
stabilire che tutte le nuove attribuzioni devolute dalla 1. n.
532/82 al tribunale ordinario spettano, nel settore minorile, a
quello per i minorenni, non può ritenersi, nel caso di specie
(appello avverso il provvedimento del 12 aprile 1985 di questo stesso tribunale sia pur in funzione di g.i.) rettamente adito
l'organo giudiziario competente, dovendosi, in aderenza alla sen
tenza della Corte costituzionale n. 56 del 8 marzo 1985 (Foro it.„
1985, I, 957), ritenere competente a decidere sul proposto gravame la sezione per i minorenni della corte d'appello.
È invero nei riguardi del procedimento minorile (cosi come
motiva la suddetta sentenza della Corte costituzionale) l'art. 281
c.p.p. incide soltanto ai fini dell'ammissione dell'appello, in com
binato disposto con gli art. 13, ult. comma, e 34 r.d. 1. 20 luglio 1934 n. 1404; all'individuazione del giudice ad quem continua
invece a provvedere unicamente l'art. 5, 1° comma, r.d.l. n.
1404/34 (« sull'appello alle decisioni del tribunale per i minoren
ni, nei casi in cui è ammesso dalle leggi, giudica una sezione della
corte d'appello... »), ribadito dall'art. 58, 1° comma, prima parte dell'ordinamento giudiziario (« una sezione della corte giudica sulla impugnazione dei provvedimenti del tribunale per i mino
renni »). La sua portata generale — là dove individua come giudice ad
quem dell'appello sulle decisioni del tribunale per i1 mino
renni la sezione per i minorenni della corte d'appello — es
sendo resa tassativa del predetto art. 34 è rimasta intatta
proprio a causa del completo silenzio che la 1. 12 agosto 1982 n.
532, riscontrato a proposito dei procedimenti minorili.
Tale retta interpretazione della suddetta normativa, ai fini
dell'individuazione del giudice ad quem nel caso di specie, assicura la diversità dell'organo d'appello anche in procedimenti relativi a reati commessi da minorenni, ed evita — in mancanza, allo stato della legislazione, di apposite previsioni in tema d'in
compatibilità, ricusazione ed estensione — la reiterazione di
interventi del tribunale per i minorenni, nel corso del medesimo
procedimento.
impugnazione tutta particolare, per la quale parte della giurisprudenza ha ritenuto in astratto inapplicabile il principio generale della conver sione.
8) Quanto al merito, si osserva che il provvedimento del tribunale
per i minorenni in data 12 aprile 1985 contrariamente alle osservazioni
difensive, si è pronunciato in termini negativi anche sugli arresti domiciliari e ci si riporta alle due precedenti requisitorie, che si inten dono integralmente qui trascritte, quella del 16 marzo 1985 e 10 aprile 1985.
Segnalo solamente che il R. non è colpito dal solo ordine di cattura n. 27/85 come mostra di ritenere il difensore, ma complesivamente da tre provvedimenti restrittivi, ai quali mi richiamo: 14/85 dell'I 1 febbraio 1985, 18/85 del 15 febbraio 1985, e il citato 27/85 del 9 marzo 1985.
Per brevità in questa sede ribadisco unicamente, chiedendo il rigetto dell'appello, l'estrema gravità ed il rilevante numero dei fatti contestati e le eccezionali, impellenti esigenze istruttorie, derivanti dalla estrema delicatezza dell'indagine in corso e dagli innumerevoli contrasti fra le varie versioni dei vari imputati, che a volte si accusano reciprocamen te, dalla assoluta necessità di giudicare tutti i prevenuti in stato di detenzione (l'istruttoria volge al termine) senza smembrare precipitosa mente le tessere del mosaico faticosamente costruite ».
PRETURA DI ASTI; sentenza 22 marzo 1985; Giud. V. Paone;
imp. Limardi.
PRETURA DI ASTI;
Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Attività di smaltimento dei
rifiuti — Centro di raccolta di veicoli a motore fuori uso
(D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, attuazione delle direttive
(CEE) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo
smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n.
78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi, art. 1, 10, 15).
Il Foro Italiano — 1985 — Parte II- 26.
Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Centro di raccolta di veicoli a motore fuori uso — Obbligo di autorizzazione regionale e licenza comunale — Inosservanza — Reato configurarle (D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, art. 6, 15, 25).
Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Centro di raccolta di veicoli a motore fuori uso — Attività preesistente al 16 dicembre 1982 — Omessa presentazione della domanda di autorizzazione re
gionale entro il termine del 16 marzo 1983 — Prosecuzione della medesima attività oltre il 16 marzo 1983 in assenza di autorizzazione regionale — Reati configurabili (D.p.r. 10 set tembre 1982 n. 915, art. 25, 31).
Il centro di raccolta di veicoli a motore fuori uso costituisce attività di smaltimento di rifiuti, potendosi ravvisare in esso le
fasi della raccolta, cernita, trattamento, ammasso e deposito dei
rifiuti, e non si inquadra pertanto nella più specifica nozione di discarica ricavabile dall'art. 10 d.p.r. 915/82. (1)
Per realizzare a gestire un centro di raccolta di veicoli a motore
fuori uso è necessario il rilascio dell'autorizzazione regionale
prevista dall'art. 6, lett. d), d.p.r. 915/82 nonché della licenza
comunale prevista dall'art. 15 del medesimo decreto; risponde
pertanto del reato di cui all'art. 25, 1° comma, d.p.r. 915/82 il
titolare di un centro di raccolta di veicoli a motore fuori uso non munito della prescritta autorizzazione regionale. (2)
(1) Sulla questione v. in senso contrario Pret. Menaggio 19 giugno 1983 (Foro it., 1985, II, 36, con nota di richiami di F. Corbo e V. Paone e in Cass, pen., 1984, 1297, con nota di F. Giampietro, Disciplina amministrativa e penale dei centri di raccolta delle carcasse di auto nel d.p.r. n. 915 del 1982)'. il centro di raccolta di veicoli a motore fuori uso deve essere qualificato come una vera e propria discarica. Da ultimo, v. P. Giampietro, Le disposizioni transitorie sullo smaltimento dei rifiuti secondo il d.p.r. 915/82-, regime ammini strativo e sanzioni penali, in Riv. giur. poi. loc., 1985, 27, il quale ritiene che i centri di raccolta di veicoli a motore fuori uso non costituiscano discarica in senso tecnico. In senso più problematico v. F. Giampietro, Disciplina amministrativa e penale, cit., per il quale solo l'abbandono in un certo sito delle carcasse e la cessazione dell'attività commerciale ad esse relativa comportano la trasformazione dei centri di raccolta di veicoli a motore fuori uso in vere e proprie discariche di rifiuti speciali.
V. inoltre, per le prime applicazioni in materia di normativa sui rifiuti Pret. Bassano del Grappa 29 giugno 1984, Nuovo diritto, 1985, 171, 1° e 8 giugno 1984, Foro it., Rep. 1984, voce Sanità pubblica, nn. 155, 156.
Oltre ai contributi dottrinali già segnalati nella nota cit. in Foro it., 1985, 11, 35, v. pili recentemente Bertolini, Le nuove sanzioni penali e amministrative per l'attuazione delle direttive CEE n. 75/442, n. 76/403 e n. 78/319, in Giust. pen., 1984, II, 540; Id., Inquinare, Milano, 1984, 351-381; F. Giampietro, Smaltimento dei rifiuti urbani da parte dei comuni: obbligo di autorizzazione regionale, in Giur. it., 1984, IV, 310; Amendola, Smaltimento di rifiuti e disciplina penale. Prime osservazioni sull'obbligo di autorizzazione e sul regime transitorio, in Giust. pen., 1985, II, 54; Id., Normativa sui rifiuti e prime applica zioni pratiche, in Riv. giur. poi. loc., 1985, 131; G. Giorgio, Il sistema sanzionatorio e le procedure tecnico amministrative nella vigilanza e nel controllo sulle attività di smaltimento dei rifiuti (relazione al semi nario di aggiornamento su « Applicazione del d.p.r. 915/82 relativo allo smaltimento dei rifiuti, alla luce delle disposizioni emanate dal compe tente comitato interministeriale con deliberazione 27 luglio 1984 » orga nizzato il 15 febbraio 1985 a Modena dalla amministrazione provincia le-assesarato ambiente, difesa del suolo e riequilibrio faunistico, con la collaborazione dei comuni e delle U.s.l. della provincia) par. VII, pag. 9 del ciclostilato.
(2) Pret. Menaggio 29 giugno 1983, cit. ha ritenuto che il reato di realizzazione di discarica non autorizzata, costituita nella specie da un
centro di raccolta di veicoli a motore fuori uso, sussiste allorquando il titolare non sia munito di licenza comunale, senza indagare, però, se l'art. 25 d.p.r. n. 915/82 consenta di sussumere nella fattispecie criminosa il caso esaminato. Cfr. per un'ampia disamina F. Giampie
tro, Disciplina amministrativa e penale, cit., 1301. P. Giampietro, Le
disposizioni transitorie sullo smaltimento dei rifiuti secondo il d.p.r.
915/82, cit., in senso analogo alla sentenza che si riporta, cosi si esprime « Raffrontando l'art. 1 con la norma sanzionatoria dell'art. 25, sono
ancora enucleabili ulteriori operazioni di ' raccolta ', ' trasporto ',
' cer
nita ', ' franamento
' (compattazione del materiale ferroso, schiacciamen
to delle carrozzerie per il riutilizzo del materiale, ecc.) che indurrebbe ro ad imporre agli enti od alle imprese in esame di presentare la
domanda. Le fasi dello smaltimento da esse svolte non si sottrarrebbe ro — in definitiva — al nuovo regime autorizzatorio ». L'a. inoltre si
domanda se la licenza comunale prevista dall'art. 15 del d.p.r. sostituirà o si affiancherà all'autorizzazione regionale. La tesi dell'a. è nel senso che « per coerenza logica e giuridica la risposta dovrebbe essere nel senso della duplicità degli atti amministrativi — attesa la
diversità degli interessi pubblici da tutelare —; ma tale risposta non
può escludere l'opportunità di una semplificazione di disciplina che, allo
stato, sembra troppo farraginosa ».
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PARTE SECONDA
Il titolare di un centro di raccolta di veicoli a motore fuori uso
in corso di esercizio alla data di entrata in vigore del d.p.r.
915/82 (16 dicembre 1982) è tenuto a presentare entro il
termini del 16 marzo 1983 la domanda all'autorità competente per il rilascio dell'autorizzazione regionale; l'omessa richiesta
comporta la violazione dell'art. 31, 1° e 3" comma, d.p.r. 915/82 e, in tal caso, la prosecuzione della stessa attività oltre la data del 16 marzo 1983 è punibile ai sensi dell'art. 25, 1"
comma, d.p.r. 915/82. (3)
Fatto i diritto. — Con rapporto giudiziario del 13 settembre 1983 la polizia stradale di Asti denunciava, tra gli altri, Limardi
Pasquale, gestore di un centro di raccolta e demolizione dei veicoli a motore fuori uso, perché sprovvisto della prescritta autorizzazione regionale. Con provvedimento del 21 settembre
1983, questo pretore ordinava il sequestro del campo di demoli zione del prevenuto, inibendogli, al contempo, la prosecuzione di
qualsiasi attività connessa alla gestione del citato campo fino a
quando non avesse ottenuto i necessari titoli abilitanti.
Durante il tempo occorrente per il rilascio dell'assenso da parte della regione, nel corso di controlli presso il campo di demolizio
ne del prevenuto, la polizia stradale più volte lo sorprese intento
in operazioni di compravendita di veicoli fuori uso.
Contestati gli addebiti in rubrica con mandato di comparizione,
l'imputato ammetteva i fatti a lui ascritti e si riprometteva di
acquisire, oltre l'autorizzazione regionale, anche la licenza comu
nale prevista dall'art. 15 d.p.r. 915/82.
Tratto a giudizio, il prevenuto confermava quanto dichiarato in
istruttoria. Veniva anche sentito l'assessore all'urbanistica arch.
Platone.
Rinviato il processo all'odierna udienza, il p.m. e la difesa
concludevano come in atti.
Ritiene il pretore che i fatti ascritti all'imputato siano assolu
tamente pacifici e non meritino particolare approfondimento.
Infatti, non solo il Limardi è reo confesso, ma a suo carico
stanno le prove risultanti dai verbali della polizia stradale di Asti
non contestati dal prevenuto. È opportuno, prima di andare oltre nel caso in oggetto,
esaminare la normativa applicabile. Con riferimento all'attività
svolta dal prevenuto occorre interpretare il recente d.p.r. 915/82 che ha recepito le direttive comunitarie 75/442 relativa ai rifiuti,
76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei poli clorotrifenili e 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi.
Conforme alla massima v. Amendola, Normativa sui rifiuti, cit., secondo il quale gli sfasciacarrozze ed in genere i centri di raccolta o rottamazione di auto sono soggetti all'obbligo di richiedere e ottenere
l'apposita autorizzazione regionale. (3) V. in senso parzialmente difforme Pret. Roma 25 gennaio 1984,
Foro it., 1985, li, 34, con nota di richiami di F. Corbo e V. Paone, e, in Cass, pen., 1984, 1295, con nota di F. Giampietro, Disciplina amministrativa e penale, cit.
P. Giampietro, Le disposizioni transitorie sullo smaltimento dei
ritiuti secondo il d.p.r. 915/82, cit., pur senza prendere posizione circa l'eventuale concorso tra il reato di cui all'art. 31 e quello di cui all'art. 25 d.p.r. n. 915/82 sostiene che « non vi è identità fra l'ipotesi posta dall'art. 31, in via transitoria, e 'quelle definitive' introdotte innovativamente dal decreto (v. art. 25 e 26). In queste ultime
disposizioni la condotta vietata consiste, di volta in volta, ' nell'effet
tuare lo smaltimento ... nell'installare o gestire impianti di innocuizza
zione... nel gestire una discarica... nello smaltire rifiuti tossici e nocivi... senza autorizzazione'. Nell'art. 31, invece, la condotta punita è altra ed è rappresentata dalla mancata presentazione, nel termine, alla autorità competente, della domanda di autorizzazione ritualmente correlata ».
Circa i rapporti tra art. 31 e art. 25 cfr. Amendola, Normativa sui
rifiuti, cit. e Id., Smaltimento dei rifiuti e disciplina penale, cit. Osserva l'a. da ultimo cit. che « se il privato fa la sua domanda entro i tre mesi e la p.a. lo autorizza entro i successivi sei mesi, nulla
quaestio. Non ricorre alcuna ipotesi di reato. Ma quid iuris se il privato presenta la domanda entro tre mesi e la p.a. gli rifiuta espressamente l'autorizzazione prima dei sei mesi? Ovvero, se il privato non presenta affatto la domanda né nei tre mesi prescritti né successivamente? Prescindendo cioè dal reato di cui all'art. 31, risponde egli o no del reato di cui all'art. 25 se prosegue, in queste ipotesi, nello smaltimento dei rifiuti? »
L'a. arriva alla conclusione secondo cui la fase transitoria è scaduta al massimo il 16 settembre 1983 (tre mesi per la presentazione della domanda più sei mesi per la valutazione della p.a.) e quindi da questa scadenza solo chi è in possesso della prescritta autorizzazione regionale può proseguire lecitamente nello smaltimento dei rifiuti; in caso -contrario ricorrerà il reato di cui all'art. 25 d.p.r. 915/82.
Il Foro Italiano — 1985.
Il titolo V del decreto contiene le sanzioni amministrative e
penali applicabili per le infrazioni alle norme precettive del
provvedimento. È pertanto indispensabile esaminare dapprima la
disciplina amministrativa di codesti centri di raccolta e successi
vamente accertare il trattamento sanzionatorio riservato a chi
violi le norme in materia.
Dei centri di raccolta dei veicoli a motore fuori uso ne parla
espressamente l'art. 15 d.p.r. 915.
In questo articolo si può leggere, tra l'altro, che i veicoli a
motore destinati alla demolizione debbono essere conferiti dal
proprietario esclusivamente ad appositi centri di raccolta « per la
demolizione, l'eventuale recupero di parti e la rottamazione ».
Nel caso in cui il centro sia realizzato da soggetto diverso dal
comune, è necessaria un'apposita licenza comunale che stabilisce, tra l'altro, i limiti massimi della superficie al centro, la quantità di materiale complessivamente accumulabile, il tempo massimo di
detenzione da parte del centro dei materiali da avviare alla
demolizione o rottamazione.
Se il centro di raccolta è gestito dal comune, i requisiti sopra indicati sono fissati nel regolamento comunale.
Ciò posto, questo giudice si chiede in primo luogo quale sia
l'esatta qualifica del centro di raccolta di veicoli fuori uso, ovvero se esso sia inquadrabile o meno nella categoria delle
discariche come da taluno è stato sostenuto (v. Pret. Menaggio 29 giugno 1983, Foro it., 1985, II, 36); in secondo luogo, se per la gestione del centro occorra munirsi dell'autorizzazione regiona le e della licenza comunale oppure soltanto di quest'ultima;
infine, quale sia il reato addebitabile a carico di chi realizzi il centro senza l'autorizzazione regionale e/o senza la licenza co munale.
Quanto alla prima gestione, sembra alquanto agevole rispon dere che il centro di raccolta non costituisce una discarica. Più sono le ragioni che sostengono la tesi esposta. Innanzi tutto, si rileva che il concetto di discarica, desumibile dall'art. 10 cit.
d.p.r., non consente di inquadrare in questa tipologia i centri di raccolta delle carcasse di auto.
Infatti, per discarica si può intendere una tecnica diretta allo
smaltimento dei rifiuti sul terreno mediante loro trasformazione in sostanze innocue e prive di valore economico; invece nel centro di raccolta di cui si discute i veicoli fuori uso, rifiuti
speciali secondo quanto dispone l'art. 2, n. 4, vengono raccolti
per successive operazioni tecnologiche tendenti a recuperare un valore economico.
Dal punto di vista tecnico, quindi, si può sostenere che il concetto di discarica differisce del tutto da quello di centro di raccolta dei veicoli fuori uso. Ma anche dal punto di vista
giuridico è sostenibile la differenza tra questi due concetti.
Infatti, leggendo l'art. 1 d.p.r. constatiamo che lo smaltimento dei rifiuti in senso lato comprende, nelle sue varie fasi, la
raccolta, la cernita, il trattamento, l'ammasso ed il deposito dei rifiuti. Nel centro destinato alla raccolta dei veicoli sono ravvisa bili le fasi intermedie sopra riportate di tale che è possibile affermare la diversità sostanziale tra questi centri e le discariche in senso stretto.
Inoltre, si osserva che lo stesso decreto, nel regolamentaire specificamente i centri di raccolta, inserisce la disposizione che li
riguarda, ovvero l'art. 15, nel titolo II la cui rubrica è « Regime dell'attività di smaltimento dei rifiuti speciali ».
È lo stesso legislatore, quindi, che manifesta il suo esatto
pensiero in ordine alla natura giuridica dei centri di raccolta dei veicoli. D'altronde le discariche sono regolate in maniera partico lareggiata nell'art. 10, inserito nel titolo I del decreto dedicato ai « Principi generali » e ciò conferma che il centro di raccolta è senza dubbio altro dalla discarica.
La puntualizzazione era doverosa al fine di identificare esatta mente il sistema sanzionatorio applicabile.
Infatti, l'art. 25 d.p.r. distingue due diverse fattispecie penal mente sanzionate. Nel 1° comma, si punisce chi effettua lo smaltimento dei rifiuti senza l'assenso della regione; nel 2" comma invece si punisce chi realizza o gestisce una discarica non autorizzata (nel 3° comma è previsto un aggravamento di pena se chi gestisce la discarica abusiva effettua lo smaltimento dei rifiuti
per conto proprio, oppure smaltisce i rifiuti prodotti da terzi). Pertanto, nel 1° comma sono contemplate tutte le attività che
siano riconducibili ad una delle fasi tipiche dello smaltimento dei rifiuti ad eccezione della discarica, che pur essendo anch'essa una fase dello smaltimento dei rifiuti, è regolamentata espressamente dai comma 2° e 3° dell'art. 25. Acclarata, dunque, la natura
giuridica del centro di raccolta, ci si deve chiedere se per la lecita gestione dello stesso occorra munirsi dell'autorizzazione
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GIURISPRUDENZA PENALE
regionale e della licenza comunale, oppure soltanto di uno di
questi due provvedimenti di assenso. Va immediatamente rilevato che il decreto 915/82 presenta
un'inspiegabile carenza sul piano delle norme incriminatrici:
infatti, mentre è senz'altro punita l'effettuazione dello smaltimento dei rifiuti in mancanza dell'autorizzazione regionale, non altret tanto può dirsi per chi gestisca questa particolare forma di
smaltimento dei rifiuti senza aver ottenuto la licenza comunale
prevista dall'art. 15.
In tutte le norme (art. 25, 26, 27) che descrivono la condotta
vietata, si utilizza il termine « autorizzazione » e non si fa mai
menzione dell'altro termine « licenza »; in particolare, l'art. 25
rinvia esplicitamente all'autorizzazione di cui alla lettera d) dell'art. 6 del decreto.
Questo articolo prevede in via generale il rilascio dell'apposita autorizzazione da parte dell'ente regionale a favore degli enti e
delle imprese che intendano effettuare lo smaltimento dei rifiuti.
Non pare quindi possibile attribuire alla norma incriminatrice
una valenza maggiore di quella derivante dalla lettera della
disposizione: non essendo consentito utilizzare il metodo analogi
co, perché in malam partem, per riempire il vuoto normativo, cioè
per ritenere applicabile l'art. 25 anche al caso di attività svolta
senza la prescritta licenza comunale rilasciata ai sensi dell'art. 15, se ne deve dedurre che non è preveduto dalla legge come reato il
fatto di gestire un centro di raccolta senza aver preventivamente ottenuto la licenza dal comune competente.
Si comprende bene allora la rilevanza della questione su
proposta: se non fosse necessario munirsi dell'autorizzazione
regionale di cui all'art. 6, lett. d), l'eventuale carenza del
provvedimento di assenso comunale non determinerebbe l'appli cabilità dell'art. 25 d.p.r. 915, con la conseguente assoluzione del
titolare del centro di raccolta abusivo.
Se, al contrario, si affermasse la necessità, anche per queste
imprese, di ottenere l'autorizzazione regionale, sarebbe senza dubbio configurabile la violazione dell'art. 25.
Il dubbio, quindi, è nei seguenti termini: la licenza comunale
si aggiunge all'autorizzazione regionale o vi si sostituisce?
Questo pretore opina che la prima risposta sia la più corretta e
non soltanto perché consente di difendere maggiormente gli interessi protetti dal d.p.r. mediante l'incriminazione sotto il titolo
del reato dell'art. 25 di coloro che gestiscono il centro senza
autorizzazione, ma anche per altre ragioni di ordine sistematico e
logico. Il principio generale della legge è quello secondo cui deve
essere soggetta ad autorizzazione della regione l'effettuazione dello smaltimento dei rifiuti nonché la gestione delle discariche ed altro ancora. Non si vede allora per quale motivo dovrebbe escludersi che attività cosi rilevanti sotto il profilo della sicurezza e della sanità pubblica debbano sfuggire al vaglio preventivo dell'ente
regionale competente ad accertare la sussistenza dei requisiti essenziali previsti tanto dallo stesso decreto presidenziale quanto dalle norme integrative emanate (o da emanarsi) dalle regioni ai
sensi dell'art. 6, lett. F). Da qualcuno è stata avanzata l'ipotesi che la necessità di
munirsi dell'autorizzazione regionale dipenda da caso a caso a seconda che il centro sia destinato esclusivamente alla raccolta dei veicoli oppure sia in grado anche di procedere con le
apposite attrezzature tecniche della rottamazione e al recupero di
parti dei veicoli fuori uso. Nel primo caso non vi sarebbe
l'obbligo di ottenere l'assenso regionale essendo sufficiente quello del comune; nel secondo caso occorrerebbero invece entrambi gli atti autorizzativi. Inoltre, è stato sostenuto, per confutare la tesi della duplicità dei provvedimenti, che non si saprebbe quale spazio assegnare al provvedimento della regione che non sia già coperto dalle prescrizioni da indicarsi nella licenza comunale.
Le obiezioni riportate non convincono del tutto questo giudi cante; in primo luogo, nel testo normativo non vi sono elementi
per fondare la distinzione che si vuole operare tra centri di
raccolta sic et simpliciter e centri in cui si procede al « tratta
mento » delle carcasse con impianti e attrezzature tecniche. L'art.
15 infatti disciplina la materia senza porre alcuna distinzione
all'interno della categoria dei centri di raccolta.
È vero che lo stesso articolo demanda ai comuni di fissare
nella licenza oomunale il « tempo massimo di detenzione da parte del centro dei materiali da avviare alla demolizione o rottamazio
ne, non superiore comunque a 180 gg. dalla data del conferimen
to », il che lascia intendere che nel centro non necessariamente si
procederà all'effettiva eliminazione o recupero delle carcasse; ma
la differente organizzazione interna del centro non incide affatto
sulla regolamentazione giuridica. Sulla scorta di queste considera
zioni si ritiene che l'obbligo di munirsi dell'autorizzazione regio
II Foro Italiano — 1985.
naie grava su tutti coloro che vogliano gestire un centro di raccolta dei veicoli fuori uso.
Neppure l'altra obiezione ha più fondamento. Il provvedimento della regione dovrebbe limitarsi alla verifica delle condizioni
oggettive in capo all'impresa o all'ente necessarie per l'abilitazio ne all'attività di smaltimento dei rifiuti. Pensiamo, infatti, ad
un'impresa che abbia articolazioni produttive-gestionali distri buite in diversi comuni. In questa ipotesi la regione, unica
competente per territorio, ha l'onere di controllare la sussistenza dei requisiti per consentire ad un soggetto privato l'effettuazione di una o più fasi dello smaltimento dei rifiuti (la stessa impresa potendo effettuare, ad esempio, la raccolta dei veicoli fuori uso in un certo sito e al tempo stesso il trasporto di rifiuti urbani e/o speciali in altre località); rimane poi di competenza del singolo comune, ove concretamente è ubicato il centro di raccolta, l'onere di rilasciare la licenza prescritta dall'art. 15 a garanzia dell'ordi nato sviluppo del tessuto urbano nonché a garanzia del rispetto di tutte le precauzioni igenico-sanitarie. Ci sembra pertanto di mostrato che i due provvedimenti hanno contenuto e finalità differenti per modo che non può sostenersi che la licenza sostituisca integralmente l'autorizzazione regionale: di regola, sa ranno necessari entrambi gli atti autorizzativi.
Una prima conseguenza delle argomentazioni esposte è che
risponde del reato di cui all'art. 25, 1° comma, il gestore di un
centro di raccolta sprovvisto dell'autorizzazione regionale. Riser
vando al prosieguo ulteriori osservazioni in ordine a questo tema, ora dobbiamo chiederci se commetta un illecito penalmente sanzionato il soggetto munito di autorizzazione regionale, ma non di licenza comunale. Va premesso che la contravvenzione di cui
all'art. 25 costituisce un tipico reato permanente perché la con
dotta vietata perdura nel tempo ed è in potere del soggetto attivo
il farla cessare o meno. Di conseguenza, allorché l'agente è in
possesso dell'autorizzazione regionale dovrebbe ritenersi cessato il
reato di abusiva gestione di un centro di raccolta. Senonché, la
mancanza della prescritta licenza incide ulteriormente sulla per manenza del reato de quo? In linea generale, dovrebbe opinarsi che la carenza dell'assenso comunale è del tutto irrilevante ai fini
della consumazione della contravvenzione in quanto, come si è
detto, non è preveduto da alcuna norma incriminatrice il fatto di
effettuare l'attività in parola senza la licenza del comune; e la
lettera dell'art. 25, con il rinvio operato alla sola autorizzazione
di cui all'art. 6 d.pir., non permette di estendere alla mancanza
della licenza la sanzione penale ivi contenuta.
Tuttavia, questo pretore, pur non disconoscendo che tale solu
zione appare la più conforme al testo delle norme citate, opina che, almeno nella fattispecie, sia possibile trovare altra risposta al
quesito rispettando i principi di tassatività e legalità del reato. Il
provvedimento della regione Piemonte rilasciato al prevenuto cosi
si conclude « la presente è valida se l'istante è in possesso della
licenza comunale ex art. 15 d.p.r. 915/82». Ora, a parte l'impre cisione del termine « valida » cui dovrebbe preferirsi il termine « efficace » — diverso essendo il concetto di validità e di efficacia
dell'atto amministrativo —, si osserva che l'ente regionale ha
subordinato l'operatività dell'emanata autorizzazione al possesso in capo al richiedente della necessaria licenza comunale. Il che
significa che fintanto che il privato non sia munito di questo secondo assenso, l'autorizzazione è improduttiva di effetti e di
conseguenza resta inibita l'effettuazione legittima dell'attività del
centro di raccolta carcasse auto. In teoria, quindi, il privato non
potrebbe dare inizio alla sua attività o dovrebbe sospenderla, ove
già iniziata, se è privo della licenza comunale. Per la legge
penale deve ritenersi equivalente la mancanza di un'autorizzazio
ne e il possesso di un'autorizzazione illegittima o inefficace
perché in entrambi i casi l'atto non è idoneo ad esplicare tutti gli effetti che gli sono propri, ovvero rimuovere un ostacolo all'eser
cizio di un diritto del privato. In giurisprudenza, è alquanto
pacifico il principio secondo cui il reato di costruzione edilizia
abusiva non è escluso nell'ipotesi in cui il privato abbia costruito
sulla base di una concessione rivelatasi poi illegittima: al più si
porrà un problema di accertamento dell'elemento soggettivo del
reato. Ma, sotto il profilo della oggettiva esistenza del fatto
illecito, la situazione non muta se il soggetto attivo ha costruito
senza la concessione o con concessione illegittima. Parimenti può dirsi per una concessione o autorizzazione inefficace: quel che
rileva, infatti, è non tanto la materiale esistenza dell'atto, quanto
l'esplicazione degli effetti tipici dell'atto stesso che è impedita
dall'apposizione di una condizione sospensiva del genere di quella contenuta nell'autorizzazione emessa dalla regione Piemonte.
Stando cosi' le cose, a parere di questo giudice, non è violato il
principio di legalità del reato se si afferma che il possesso di
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PARTE SECONDA
autorizzazione inefficace equivale a carenza oggettiva del provve dimento autorizzativo.
E dato che l'art. 25 punisce colui che « senza l'autorizzazione
di cui all'art. 6, lett. d) » effettui lo smaltimento dei rifiuti,
ponendo in risalto il fatto di non aver ottenuto la regolare autorizzazione prima di iniziare una qualsiasi delle attività ri
comprese nell'art. 1 del decreto, è possibile concludere che il
reato persiste fintanto che non sia intervenuto il provvedimento di assenso del comune, perché solo questo è idoneo a far venire
meno la condizione sospensiva apposta all'autorizzazione della
regione. La disamina delle questioni poste dal presente processo non
può esaurirsi qui. Si è detto poc'anzi che per gestire lecitamente
il centro di raccolta occorre sia l'autorizzazione della regione sia
la licenza del comune; si è anche detto che la mancanza del
primo provvedimento determina la violazione dell'art. 25, 1°
comma, d.p.r. 915 e che la mancanza della licenza comunale, a
certe condizioni, acquista rilievo ai fini della persistenza della
predetta violazione. Ora dobbiamo chiederci se realmente il
titolare di un'attività di smaltimento dei rifiuti, già in corso al
momento in cui è entrato in vigore il d.p.r., sprovvisto dei
citati atti di assenso sia punibile ai sensi dell'art. 25 o trovi
invece soltanto applicazione il disposto dell'art. 31 stesso decreto.
Il quesito non è privo di senso perché ben si intende la
differenza sul piano sanzionatorio dell'una o dell'altra tesi.
Dispone il richiamato art. 31 che chiunque effettuava smalti
mento dei rifiuti quando è entrato in vigore il d.p.r. doveva
presentare entro il termine di tre mesi domanda all'autorizzazione
competente per il rilascio dell'apposita autorizzazione; stabilisce,
inoltre, che entro sei mesa l'autorità competente doveva provvede re in merito, quanto meno a rilasciare un'autorizzazione provviso ria.
Chi non ha presentato la domanda entro il termine citato
commette un reato punito con l'arresto sino a sei mesi o con
l'ammenda fino a lire 3.000.000.
Dunque, questa fattispecie penale riguarda solo chi già gestiva un centro di raccolta (o analoghe fasi dello smaltimento dei
rifiuti) alla data del 16 dicembre 1982 e non abbia presentato la
domanda entro il termine massimo del 16 marzo 1983. Ma il
reato di cui all'art. 31 è speciale rispetto a quello di cui all'art.
25 oppure concorre materialmente? Una recente sentenza (Pret. Roma 25 gennaio 1984, id., 1985, II, 34) ha affrontato in parte que sto tema e implicitamente lo ha risolto affermando il concorso tra il
reato di cui all'art. 25 e quello di cui all'art. 31, pur giungendo a
postulare una tesi che non pare del tutto accoglibile. Un primo punto sembra assodato: la contravvenzione di cui
all'art. 25 è ascrivibile anche ai titolari di attività già in corso
che continuino ad esercitare la medesima attività senza la pre scritta autorizzazione. Non vi sono argomenti logici e letterali per escludere questa tesi. L'art. 25 infatti è inserito nel capo del
decreto dedicato al sistema sanzionatorio e data la sua generalità è applicabile a chiunque venga a trovarsi nella condizione
oggettiva descritta dalla norma. Non si può desumere dal testo
letterale della disposizione che il precetto riguardi solo i nuovi
insediamenti e non anche i vecchi e d'altra parte sarebbe iniquo e non giustificato razionalmente punire chi intenda iniziare ex
novo questa attività e non abbia l'assenso previsto e chi, invece,
prosegua nell'esercizio della medesima attività, senza preoccuparsi di mettersi in regola con le nuove disposizioni. Infine, nel titolo
dedicato alle disposizioni transitorie non è dato scorgere alcun
elemento testuale che faccia ritenere non applicabile la disciplina
penale esaminata anche a carico dei vecchi insediamenti. Vero è,
invece, che tra le disposizioni transitorie vi è quella prevista dal
1° e dal 3° comma dell'art. 31 che prevede un obbligo penalmen te sanzionatorio solo per una determinata categoria di soggetti. Il
rilievo dimostra semplicemente che il legislatore ha ritenuto di
dover sanzionare particolarmente i titolari di impianti già esistenti
che non prestino la dovuta collaborazione con gli organi pubbli ci: infatti, la presentazione della domanda entro termini perentori consente di avere una « fotografia » del settore al fine di stabilire
la priorità di decisione e lo stesso contenuto precettivo dell'auto
rizzazione.
Quali sono allora i rapporti tra la norma dell'art. 31 e quella dell'art. 25? In quali casi si risponde della contravvenzione più
grave di svolgimento abusivo di attività di smaltimento dei rifiuti
oltre che della contravvenzione di cui all'art. 31?
Per dare soluzione al quesito occorre vedere piti in dettaglio la
normativa in vigore.
Già si è rilevato che l'art. 31 stabilisce che entro sei mesi dalla
presentazione della domanda la p.a. deve pronunciarsi in merito
Il Foro Italiano — 1985.
rigettando o accogliendo l'istanza e quindi rilasciando la relativa
autorizzazione ancorché provvisoria. Quale è dunque il regime
penale del periodo intercorrente tra il 16 marzo 1983 e il 16 settem
bre 1983, termine ultimo per la regione per provvedere in merito?
Sul punto si concorda pienamente con la tesi espressa dal Pretore di
Roma e cioè che in tale periodo, anche se la legge tace sul punto, il
disposto dell'art. 25 non pare applicabile. Infatti, non potrebbe
pretendersi che il privato, il quale abbia presentato la domanda
nei termini legali, debba sospendere l'attività già in corso nel
periodo di sei mesi durante il quale la regione ha l'onere di
pronunciarsi sull'istanza: e ciò non soltanto per ragioni pratiche, onde evitare la sospensione di attività che potrebbero avere anche
rilevanza pubblicistica (basti pensare alla raccolta e al trasporto dei rifiuti urbani), ma anche per motivi di equità essendo
indubitabile che lo spatium deliberandi concesso alla p.a. dalla
norma in argomento non può determinare un sacrificio del diritto
del privato che sia sproporzionato ed ingiustificato. Una volta decorso il termine semestrale la situazione giuridica cambia però sensibilmente.
Come ha detto il Pretore di Roma, la norma de qua prevede
un'ipotesi tipica di silenzio-rifiuto perché se la legge avesse voluto
ammettere il silenzio della p.a. l'effetto di tacito accoglimento dell'istanza avrebbe dovuto dirlo espressamente, cosi come ha
fatto in materia di inquinamento delle acque (legge Merli del 10
maggio 1976 n. 319). Cosicché alla scadenza del termine il
privato dovrebbe sospendere la propria attività se ancora non gli è stata rilasciata l'autorizzazione definitiva o provvisoria, con la
conseguenza che l'ulteriore prosecuzione configura certamente la violazione di cui all'art. 25.
In questa ipotesi, quindi, la data di consumazione del reato inizia con la scadenza del semestre assegnato alla regione per deliberare in merito alla domanda.
Occorre però domandarsi quale sia il regime sanzionatorio per coloro che hanno presentato la domanda alla regione oltre il termine del 16 marzo 1983. Dalla pronuncia del pretore romano sembrerebbe che anche in questo caso il termine di decorrenza iniziale del reato di cui all'art. 25 coincida con la data del 16 settembre. Diamo ovviamente per ammesso che il soggetto conti nui abusivamente la sua attività dopo il 16 marzo e anche dopo il decorso dei sei mesi entro cui la regione ha l'onere di
provvedere.
Orbene, tre sono le possibilità cui ancorare l'inizio della commissione della contravvenzione di cui all'art. 25: la prima è
quella del 16 settembre 1983, la seconda è quella coincidente con la scadenza del termine semestrale, la terza è quella del 17 marzo 1983.
La prima soluzione appare arbitraria perché dimentica che
quella data è prevista dal decreto come termine massimo per l'ottenimento dell'autorizzazione esclusivamente per coloro che, essendo stati tempestivi nella presentazione della domanda, l'ab biano proposta l'ultimo giorno utile, ovvero il 16 marzo; ma se la domanda è stata proposta prima del 16 marzo è evidente che i sei mesi scadranno non il 16 settembre, ma in un momento anteriore. Ecco perché non riteniamo di poter assumere questa data come inizio della consumazione del reato previsto dall'art. 25. La seconda soluzione non appaga per questa considerazione: chi presenti la domanda entro il termine del 16 marzo 1983 non solo ottempera ad un precetto sanzionato penalmente, ma può usufruire del periodo di vacatio di sei mesi durante i quali continua ad esercitare la stessa attività senza però sapere se al definitivo egli sarà autorizzato o meno. Trattasi dunque di un beneficio (ovvero la esenzione dell'applicabilità del precetto di cui all'art. 25, pur sussistendone gli estremi oggettivi) ricollegabile ad un comportamento positivamente valutato dall'ordinamento, ovve ro l'adempimento di quel dovere di collaborazione con le autorità
pubbliche di cui si è fatto cenno in precedenza. Altro significato non potrebbe avere la non punibilità temporanea di condotte che
oggettivamente costituiscono gli estremi di reato di cui all'art. 25. Ma uguale trattamento di favore non può riservarsi a colui il
quale non abbia prestato analoga collaborazione con gli enti
competenti. In questa ipotesi quindi il termine di sei mesi non vale a giustificare il privato e non può funzionare quale causa di
sospensione del precetto penale. In definitiva, l'ipotesi qui consi derata è equiparabile a quella in cui versa il soggetto che intenda dar corso ad una nuova attività di smaltimento dei rifiuti: nessuno potrebbe contestare che la mancanza della preventiva autorizzazione non renda illegittimo l'esercizio già avviato dell'at tività di cui sopra. Ed allora l'unica soluzione ragionevole e coerente con il sistema è quella di individuare la data del 17
marzo come quella di inizio della consumazione della contrav
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GIURISPRUDENZA PENALE
venzione in discorso per coloro che, soggetti all'obbligo sancito dall'art. 31, abbiano perduto la possibilità di beneficiare della
sospensione del precetto penale a causa della tardiva presentazio ne della domanda all'autorità competente. La contravvenzione cesserà solo all'avvenuto rilascio dell'assenso previsto oppure solo
quando sarà cessata l'abusiva attività. (Omissis)
I
PRETURA DI PALERMO; sentenza 26 febbraio 1985; Giud.
Tresoldi; imp. Reale.
PRETURA DI PALERMO;
Radiotelevisione e servizi radioelettrici — Esercizio di impianto ricetrasmittente sulla banda cittadina senza concessione ammi
nistrativa — Reato — Insussistenza (D.p.r. 29 marzo 1973 n.
156, t.u. delle disposizioni legislative in materia postale, di
bancoposta e di telecomunicazioni, art. 195, 334; 1. 14 aprile 1975 n. 103, nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva, art. 45).
Non costituisce reato l'esercizio di apparecchio radioelettrico ricetrasmittente sulla banda cittadina (cosiddetta C.B) in man
canza della prescritta concessione. (1)
II
PRETURA DI MODENA; sentenza 13 novembre 1984; Giud.
Persico; imp. Solazzo.
Radiotelevisione e servizi radioelettrici — Esercizio di impianto ricetrasmittente sulla banda cittadina senza concessione ammi
nistrativa — Reato — Sussistenza (D.p.r. 29 marzo 1973 n.
156, art. 195, 334; 1. 14 aprile 1975 n. 103, art. 45).
Integra gli estremi del reato di cui all'art. 195 cod. postale, l'esercizio di apparecchio radioelettrico ricetrasmittente sulla
banda cittadina >(cosiddetta C.B.) in mancanza della prescritta concessione. (2)
(1-2) L'etere, si sa, è « terra » di conquista: ma solo per i networks (per un significativo riscontro, v. Disposizioni urgenti per la radiotelevisio ne. Testi normativi e resoconti parlamentari, a cura dell'I.G.S.I., aprile 1985) e, magari in misura minore e certamente dialettica, per la folta schiera di stazioni televisive locali (cfr., indicativamente, il Notiziario
A.n.t.i., n. 6, aprile 1985), non per i « cibbisti ». Questi ultimi, se ci
provano, rischiano la galera. Ecco lo sconfortante responso reso dalla seconda delle sentenze in epigrafe, la quale ad un anno da Pret. Milano 10 novembre 1983, Foro it., 1984, II, 473, con nota di
richiami, ribalta la direttiva adottata in quella sede sanzionando
penalmente l'installazione e l'uso (anche se effettuato per esigenze di
lavoro) di apparecchi ricetrasmittenti che « modulano » sulla banda dei 27 Mhz. (Citizen Band), quando privi dell'apposita concessione rilascia ta dal ministero delle poste e telecomunicazioni.
Sulla decisione ha certamente pesato Corte cost. 30 luglio 1984, n. 237 (id., 1984, I, 2049, con nota di Pardolesi), nella quale i giudici della Consulta (rigettando la questione di legittimità costituzionale degli art. 183 e 195 cod. post, come novellati dal
l'art. 45 1. 103/75, e dell'art. 334, 1° comma, cod. post.) hanno
escluso che l'anomala congiuntura prodottasi dopo Corte cost. 28 luglio 1976, n. 202 (id., 1976, I, 2066), a favore di chi irradia via etere trasmissioni radiotelevisive, possa essere utilmente invocata come pa rametro per svincolare l'installazione e l'esercizio di qualsivoglia impianto di telecomunicazione (tra cui, ovviamente, anche gli apparati radioelettrici ricetrasmittenti portatili oggetto delle numerose ordinanze
di rimessione) dal regime concessorio, ovvero (come per le trasmissioni
in ambito locale) autorizzatorio, che comunque deve governare la
delicata materia. Ma se le sorti del « cibbista » nel giudizio di
legittimità costituzionale non potevano essere diverse, poiché segnate
all'origine dall'inversione logica operata dai giudici a quibus (cfr., sul
punto, Pardolesi, nota a Corte cost. 237/84), altrettanto non può dirsi
per la pronunzia in discorso, la quale lascia anzi perplessi per il
tentativo di supportare una chiara distonia dell'ordinamento adducendo
dotte argomentazioni di tecnica delle telecomunicazioni che, se corret
tamente interpretate, inducono semmai a conclusioni opposte.
Cosi, l'aver escluso che i « baracchini » (come sono definiti in gergo
gli apparati in esame) possono irradiare onde per « diffusione circola
re », ipotesi riferita ai soli « servizi di parole e musica destinati ad un numero imprecisato ed illimitato di utenti che possiedono soltanto ricevitori »; l'aver negato che una tale qualità vada loro riconosciuta in forza del divieto di impiegare antenne direttive (esplicitato dall'art.
334, 2° comma, lett. a, cod. post.); e ancora l'aver respinto l'idea che la potenza da essi erogata (3-5 watt) possa dirsi « debole », essendo tale solo quella di pochi milliwatt; tutto ciò appare francamente
Il Foro Italiano — 1985.
I
Fatto e diritto. — A seguito del rapporto in atti si procedeva contro Reale Francesco, il quale veniva tratto a giudizio per rispondere del reato precisato in epigrafe.
All'odierno dibattimento lo stesso si protestava innocente. Dopo la lettura degli atti consentiti il p.m. e il difensore concludevano come da verbale di causa.
Ciò premesso si osserva. In punto di fatto non v'è dubbio che
l'imputato ha installato e detenuto un apparecchio radio rice-tra smittente di debole potenza senza avere prima ottenuto la rela tiva concessione.
Occorre adesso accertare se, dopo le numerose sentenze della Corte costituzionale in materia di trasmissioni radiotelevisive
circolari, sussista, anche per questo tipo di apparecchiatura radioe lettrica di portata cittadina, la stessa « libertà di antenna » di cui attualmente godono le stazioni radiotelevisive c.d. circolari.
Si ripropone cosi il problema della legittimità, sotto il profilo penale, dell'installazione e dell'esercizio di impianti trasmittenti di debole potenza nella banda cittadina, senza avere ottenuto la relativa concessione.
L'indagine deve necessariamente prendere le mosse dall'esame della disciplina normativa oggi applicabile alle emittenti circolari
e a quelle delle bande cittadine, previa analisi delle modifiche che via via sono state apportate nella subiecta materia, sicché, mediante una interpretazione che tenga conto degli elementi
storico e sistematico, si possa pervenire alla conclusione della
eccessivo (se non praeter legem). A tal proposito basti pensare che l'art. 334 cod. post, (mai menzionato in questa sede), nel subordinare il rilascio della concessione per l'uso di apparati ricetrasmittenti alla mancanza di eventuali chiamate selettive o di congegni e sistemi atti a rendere non intercettabili da terzi le conversazioni scambiate, intende
coprire l'intera gamma di impianti che — come quelli C.B. —
consentono, si, di trasmettere ed anche di ricevere, ma non per questo possono equipararsi alle radiotrasmissioni bilaterali tout court (del tipo telegrafia o telefonia senza fili) in quanto lo scambio, non simultaneo, di messaggi è di tipo « casuale » (parlo con altri solo se sintonizzati su quel canale in quel momento) e, comunque, sempre « diffuso » ed « indeterminato » (non potendo mai l'interlocutore essere « selezionato » a priori, né il messaggio essere esclusivo).
Inoltre, la caratteristica forma a lobo, che alcune antenne possono descrivere nell'irradiazione delle onde (sicché, a meno che ostacoli di diversa natura — com'è facile a bassi wattaggi — non lo impediscano, in una direzione si « va più lontano » rispetto ad un'altra) non può rappresentare un valido argomento per ritenere la diffusione come non circolare: diversamente (e cosi lascia intendere il giudice) tutte le antenne, o quasi, sarebbero da assimilare al tipo « direttiva », dimenti cando che la peculiarità di quest'ultima è proprio la concentrazione del raggio di emissione delle onde in una sola direzione.
Infine, se veramente fossero apparecchi di « debole potenza » solo quelli di pochi milliwatt (quali, ad es., le ricetrasmittenti giocattolo), l'art. 334 cod. post., nel riferirsi proprio ai primi, non avrebbe più ragione di esistere, posto che per gli apriporte e radiogiocattoli è prevista una norma apposita (l'art. 338 cod. post.) che li sottrae, per il loro ridottissimo raggio d'azione, al rilascio di alcun provvedimento amministrativo.
La verità è che, disquisizioni tecniche a parte, la trasmissione C.B. non può, ictu oculi, non considerarsi un minus rispetto ad altre forme di radio diffusione circolare di fatto libere (almeno in ambito locale) di operare senza vincolo alcuno. In questa prospettiva, è diffìcile comprendere perché alla C.B. debba essere negata la natura di « servizi di radiotelediffusione circolare a mezzo di onde elettromagne tiche » cui si è riferita Corte cost. 205/74 (id., 1974, I, 1945), estendendo la dichiarazione di illegittimità dell'art. 195 cod. post, (com'è stato poi chiarito da Corte cost. 15 gennaio 1976, n. 1, id. 1976, I, 863 s.) a «tutte le forme di radio ricetrasmittenti ».
E, non a caso, proprio in tale direzione si muove l'articolata pronuncia del pretore siciliano il quale, nel ripercorrere le tappe fondamentali che hanno scandito l'evoluzione (si fa per dire...) della materia, ribadisce l'orientamento iniziale formulato dal giudice mene ghino e riconduce le trasmissioni C.B. nell'ambito della legalità. La soluzione, consapevolmente predicata più sul piano dei principi acquisi ti dalla Corte costituzionale che su quello delle caratteristiche tecniche, ritenute sterili quando sia superato un certo limite (se, infatti, i cibbisti — a differenza delle emittenti locali radiotelevisive — possono anche ricevere dei messaggi, che dire delle trasmissioni in cui si realizza un dialogo « in diretta » grazie a chiamate telefoniche?), costituisce un segnale che fa ben sperare. Ma non fuga in toto i dubbi sui pericolosi risvolti applicativi che una normativa confusa ed allu vionale (sul punto, v. il recentissimo, d.m. 2 aprile 1985, Le leggi, 1985, 1118, che, nel disporre la nuova normativa tecnica relativa agli apparati di debole potenza di cui all'art. 334 cod. post., conferma l'obbligo della concessione) continua inesorabilmente ad alimentare.
M. Paganelli
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